Storie d’amore

“Il cibo, come l’emozione, va ascoltato”: intervista a Massimo Foffani del ristorante “Storie d’amore”

In effetti ciò che colpisce per primo è proprio il cibo.
Cosa scontata in un ristorante stellato, obietterebbe qualcuno.

Eppure noi non stiamo parlando di ricette, di piatti elaborati, di impiattamenti futuristici o tecniche all’avanguardia. No.
Noi siamo parlando proprio di cibo.

Il cibo qui ti colpisce perché sembra che voglia parlarti, che stia lì e chieda di essere osservato, ammirato, ascoltato.
Si mette in mostra, si protende, si affusola, si nasconde, ci sorride.

Ritorneremo su questo tema perché in fondo è tutto qui, in questa intuizione geniale, che si nasconde ciò che non hanno (forse) mai raccontato di “Storie d’amore”, ristorante stellato con sede a Borgoricco, Padova.

Un matrimonio tra Veneto e Piemonte. Una storia d’amore cominciata nel 2007.
Ed è la storia di Massimo e Davide, i due titolari del locale. Colleghi, amici.
La storia d’amore è quella che ciascuno di loro ha con il cibo, con la ristorazione.

Davide in cucina, Massimo in sala.
Massimo parla, Davide si nasconde.
Massimo spiega, Davide evoca.

Ci guardiamo intorno.
I tavoli non sono tanti. Il numero di commensali è dunque esiguo. Perché ciascuno sia seguito a 360 gradi con una proposta culinaria accurata e ricercata.

Chiediamo a Massimo di spiegarci questo locale attraverso i suoi piatti.
Sorride.
“Avrei bisogno di quindici giorni per raccontarlo come si deve.”

Noi ci proviamo lo stesso in questo breve articolo.

L’idea di questo ristorante parte da un’identità.
“Avere un’identità è la cosa più importante” dicono i due amici.

Un’identità che parla a palati diversi, che è versatile, fantasiosa, trionfante.
Ma su che cosa si forgia questa identità? Che cosa la costruisce?

“Oltre a mangiare e bere bene mi interessa moltissimo che il nostro cliente sorrida nel farlo – dice Massimo Foffani – non sopporto i ristoranti “bacchettoni” che non fanno grandi differenze tra un tavolo e l’altro, che a tutti consigliano la medesima cosa, a tutti rivolgono le medesime formalissime parole. Noi preferiamo non metterci la cravatta o il papillon ma essere più informali e far sentire il nostro ospite a proprio agio, come se venisse da noi da sempre.
A tavola, insomma, si deve mangiare bene, bere bene, ma anche sorridere tanto.”

L’idea di cucina, da un punto di vista più tecnico, è quella di Davide Filippetto, lo chef.
Un’idea classica e moderna che si è evoluta e ha inglobato nel suo insieme sensazioni tattili, fluidità concettuali e sapori innovativi.

Davide è nato in Piemonte.
La sua cucina è una commistione tra il Veneto e il Piemonte. Queste due regioni ne hanno contaminato lo stile, plasmato i gusti.

Davide è schivo. Non ama le interviste. Ma nei suoi occhi, nelle sue braccia conserte, nelle pieghe del suo grembiule, si rincorrono i suoi ricordi muti ma nitidi.

Le lunghissime tavolate in famiglia, le sedie piene, il cibo che traboccava, l’idea che a tavola si costruiscano legami inscindibili, che capitino le cose più significative.

“Mio padre non si sedeva a tavola se nel menù non era previsto l’antipasto” confessa Davide.
Perché così i tempi si allungavano, e a tavola ci si poteva fare più compagnia. Si poteva invecchiare come invecchiano i fiori.

Da qui l’idea che il cibo è amore prima di tutto, è un idioma, è famiglia.
E le famiglie (quelle felici) si somigliano tutte, scriveva Tolstoj.
Da nord a sud le tavole imbandite narrano storie che hanno gli stessi intrecci e che, a volte (ma soltanto a volte), allevano grandi chef.

“Davide è uno chef geniale – ci dice Massimo – apre il frigorifero e con quello che c’è crea. Lui crea”.

A fine 2019 Storie d’amore ha conseguito la stella Michelin.

Quando abbiamo chiesto a Massimo se fosse stato questo il traguardo più importante e arduo per loro. La sua risposta ci ha un po’ spiazzato.

“Il traguardo più significativo è quello di aprire un ristorante e non chiuderlo.
Avere il lusso di poter continuare a fare la propria professione, esercitare il proprio mestiere con amore, con dignità”.

Ebbene, l’articolo volge al termine e noi dobbiamo dirvi qualcosa sul concetto di cibo, perché ve l’avevamo promesso nell’incipit di questo pezzo.

Alla fine dell’intervista abbiamo chiesto a Massimo Foffani che cos’è il cibo per lui.

“A casa mia, quando era ora di mangiare, si spegneva la tv e si parlava. Mangiavamo sorridendoci, scambiandoci chiacchiere. Il cibo da sempre per me è comunicazione. Credo che vada ascoltato. Come si ascolta un interlocutore. Come si ascolta un papà, una mamma. Ci sono tante sfumature in un boccone. Il cibo per me è emozione. E l’emozione va obbedita, in silenzio, senza fretta, con calma. Va assecondata. Mangiare dunque è un’educazione. È come leggere un libro.”

Ecco, a noi questo virgolettato sembra essere a conti fatti proprio l’inizio di un libro.
Per questo in effetti ciò che ci ha colpito di più, di questo ristorante, è il significato profondo dato al cibo.

Il cibo schietto, non quello che sta nel piatto. Ma quello che sta tutto fuori dal cerchio.

Il cibo come storia d’amore.



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