Incàlmo

Incàlmo: il ristorante che ti fa dimenticare “ciò che può essere dimenticato”

Un innesto. Due piante si abbracciano, si innamorano, danno vita a una pianta più forte, più resistente. Contro le intemperie, le epidemie. Perfino contro le pandemie.

Così quattro persone, quattro personaggi (in cerca di autore?) si incontrano, si riconoscono, si contaminano.
Il passato di ognuno di loro si scioglie nel presente degli altri, le loro origini si disfano, le città in cui hanno vissuto si mescolano, i loro ricordi si urtano.
Le strade di Londra si incrociano con quelle bellunesi, l’incontro in Brasile, poi la reunion a Udine.

È una storia molto intima questa, di equilibri, vibrazioni.
Francesco, Michele, Leonardo, Ricardo.

Le loro idee, le loro personalità, come un innesto, danno alla luce quello che oggi è “Incàlmo”, ristorante di cucina contemporanea, in viale Rimembranze, a Este, un progetto di cucina nuovo, che ha appena un anno e mezzo di vita.
Un ristorante che oggi figura nelle principali guide gastronomiche italiane e straniere e che è stato inserito, in soli quindici mesi, nella Guida Michelin come “nuovo ristorante”. Un nuovo suggerimento per gli amanti del gusto e dell’esperienza culinaria.

“Il ristorante si basa su una grande storicità, sulla tradizione della comunità locale. Sul rispetto per questi luoghi. Noi vorremmo essere la linfa nuova, l’innesto (appunto, l’incàlmo). In effetti su questo si basa lo storytelling e la costruzione del brand”.

Incàlmo è dunque la storia di un ristorante in cui gli chef si ispirano al lavoro artigiano dei sarti cucendo abiti di sapori su misura per le persone. Sono chef e sono musicisti: consegnano a tavola il loro pezzo migliore.
Sono chef e sono ragazzi impazienti. Non vogliono altro che regalare una degustazione significativa, memorabile.
Far assaggiare alle persone ciò che possono creare le loro mani, il loro cervello.
Anche loro, come alcuni dei menù degustazione del ristorante, tendono a svelarsi poco per volta, con cautela ci conducono verso le loro idee, le loro scelte, l’impronta delle materie prime plasmate dalla loro creatività.
Sono quattro ragazzi entusiasti che hanno costruito un progetto sorprendente.

Viene da chiedersi come hanno fatto, dove sta il segreto, se c’è un segreto.

“Io non sono figlio di albergatori, non sono figlio di ristoratori, la mia famiglia non ha mai avuto a che fare con questo mondo e mia nonna non mi ha insegnato i grandi segreti della cucina” ci svela uno dei quattro mettendo così in luce il fatto che forse non c’è un elemento univoco che conduca direttamente a questa storia, che ne rappresenti il fil rouge, il mistero.

Forse è difficile trovarlo. Forse questa domanda non ha una vera risposta. Forse è nascosta dietro i dettagli, nelle pieghe, la voce che si incrina quando si parla di cibo, quando lo si accosta a un bisogno di evasione.

Le origini le racconta Michele Carretta, milanese di origine ma con lungimiranti antenati di Este.
“Mio nonno decise, negli anni ’60, di regalare alla sua città natale una struttura alberghiera: è la struttura che ci troviamo a gestire noi oggi e che guidiamo dal 2018.”

Michele racconta che tutto è iniziato in Inghilterra dove ha conosciuto Leonardo e Ricardo. A loro si è aggiunto in seguito Francesco. Le loro esperienze, sogni, ambizioni si sono fuse portando alla nascita del ristorante.

“Incàlmo è un progetto fatto di giovani che vuole svecchiare il concetto di “fine dining” finora universalmente riconosciuto – ci dice Francesco Massenz, uno dei due chef in carica – Cerchiamo le eccellenze del territorio senza però esserne schiavi. La nostra è una cucina golosa ma non pesante. Mai scontata.”

Massenz esprime così l’intenzione e la volontà di sdoganare alcune concezioni culinarie, per esempio il tipico piatto di verdure, proponendo un’intera proposta tutta vegetariana (famosa la “scaloppa di cavolfiore” con salsa di pane bruciato, pompelmo e senape, un piatto semplice ma ricchissimo di preparazioni tecniche).

Il proponimento è condiviso, d’altronde, anche dall’altro chef, Leonardo Zanon (buonissimo il suo pane preparato con semplicità e meticolosità ogni mattina) che rievoca le sue giornate in orto, o allevando animali. Nell’impasto del pane si riverbera il sentore della legna bruciata, la morbidezza di un ricordo d’infanzia.

“Forse questa è stata la mia iniziazione. Non solo verso l’arte della cucina ma anche e soprattutto verso ciò che c’è dietro a ogni cosa”.

Per questo quella di Incàlmo si configura più come un’esperienza a tutto tondo che come una semplice offerta gastronomica.

È più che altro un sentiero equilibrato nato da una pluralità di intenti in cui alla base di tutto c’è l’amore per il cibo, il rispetto del territorio.

Incàlmo, a volergli dare una definizione, nei proponimenti di questi quattro giovani ragazzi è un momento in cui ci si siede, ci si ferma e si prova a dimenticare ciò che può essere dimenticato.



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